Di questa cosa sono rimasto assai colpito, ha implicazioni notevoli.
-> EMI’s Outrageous Lawsuit Against Developer Takes Its Toll
-> Congrats EMI! You’ve Killed Some Innovation
-> EMI lawsuit claims first casualty

The lawsuit targeted a developer of a service, Swurl, who just used an API for another service, Seeqpod, that was being sued. It’s quite troublesome to claim that one company is liable for simply using an API of another company who, itself, is probably not doing anything infringing

In breve: il servizio di lifestreaming Swurl è stato chiuso dai due creatori, perchè è stato denunciato dalla EMI per un semplice motivo: Swurl usava le API di un motore di ricerca innovativo centrato sui feed inerenti alla musica ( ma non solo ) di nome Seeqpod. Uso delle API non previsto da parte di Seeqpod, e denuncia di uno dei servizi che ne usavano a sua volta le API.
Da una segnalazione precedente sulla causa intestata da EMI e sul coinvolgimento dello sviluppatore dietro a Swurl, prendo la fine:

If EMI does win, it would set a precedent that the usage of an API puts the developer at risk of a lawsuit should the service they’re tapping into ever get sued. Such a decision would have huge ramifications for developers, who could become weary of using any service that could conceivably be considered illegal. It would stifle innovation. And frankly, it’s ridiculous.

Vediamo di sbrogliare la matassa.
Swurl era un servizio di lifestreaming, rilanciato a suo tempo anche da ReadWriteWeb, che stavo usando da luglio sia per me, sia come ulteriore canale di lifestreaming per Metafora AD Network. Era un’idea assai simile a Friendfeed, ma con importanti differenze. Non è importante dilungarsi sulle sue caratteristiche, è importante far emergere il contesto:

The lawsuit targeted a developer of a service, Swurl, who just used an API for another service, Seeqpod, that was being sued. It’s quite troublesome to claim that one company is liable for simply using an API of another company who, itself, is probably not doing anything infringing.

La catena è notevole: EMI ha portato in tribunale il servizio Seeqpod, e nel frattempo ha preso di mira anche uno dei servizi che ne usavano le API, ben prima di vedere se la causa contro Seeqpod si chiuda a suo favore, tra l’altro. Swurl, dal canto suo, essendo ancora un servizio amatoriale, ha chiuso i battenti, ovviamente.
Ci sono due cose che fanno riflettere, assolutamente non scontate: dove si sposta e si incentiva oggi l’innovazione, se mette in crisi modelli consolidati oggi forti, e un domani magari assai meno, e una questione di catena di colpevolezza assolutamente non scontata. Ben prima che sia provata la presenza di un crimine, si colpisce tutta la filiera. Bullismo legale è stato definito dalle fonti citate.
E non si colpisce il servizio in quanto tale, ma uno dei fondatori, personalmente.

Rather than just suing the companies, it’s also suing investors and the founders personally. This isn’t just highly unusual, it’s a clear attempt to pressure these companies into settling, as no matter how legitimate your stance is, it’s quite a scary thing to be sued personally, and potentially have personal assets at risk. Suing the founders personally is legal bullying. It’s a clear abuse of the legal system to try to force a settlement, rather than an actual attempt to raise a legal issue.

Il risultato è visibile da una settimana su tutti gli account presenti su Swurl, anche il mio:

Hello Swurlers,

We built Swurl as two guys doing something we love in our spare time.
Unfortunately, due to the pressures of our day jobs and other
distractions, we can no longer support or maintain the service at the
level that we think our users deserve.

Building Swurl has been a great experience for us. We want to thank
all of the folks that used Swurl as a way to document their lives
online and share with their friends and families. Thanks a bunch to
those users that gave us lots of valuable feedback and encouragement.

Al di là di ovvie e classiche considerazioni, stavo riflettendo sull’impatto culturale, anzi, sul vero e proprio divario culturale che si sta avendo da parte delle aziende e delle corporation, anche per l’avanzare del Web of Data, tra le altre cose. Impossibile non pensare a quando è nato Google, dal racconto di John Battelle, a quando Google stesso era un motore che lanciava i suoi robots da uno stanzino di Stanford. Accadeva che, ma qui vado a memoria, Stanford veniva accusata di violazione di domicilio informatico, se mi passate il termine .) I proprietari dei siti si vedevano banda e traffico generati dal non ancora famoso Googlebot, e andavano prima in panico, poi si arrabbiavano e poi passavano alle vie legali. Perchè c’era questo coso che stava rubando del loro materiale. L’agente che scandagliava i siti per indicizzarne il contenuto infatti operava come un qualsiasi browser, ma in modo assai più veloce, e al manutentore del sito poteva sembrare un vero e proprio download massivo dei propri contenuti.

Fa sorridere, lo so. Oggi si fa di tutto per far arrivare secondo i nostri bisogni il Googlebot dappertutto, e si sono creati lavori e interi settori di business su queste cose. E’ grazie a quelle scaramuccie che oggi abbiamo il potere di dire a Google cosa deve indicizzare e cosa no, tramite il robots.txt: è colpa degli amministratori dei siti se in Rete emergono materiali riservati, non certo di Google. La cosa diversa è che quella volta si andava incontro all’Università di Stanford, e non verso un singolo ragazzo, con una mente magari troppo brillante per certe tipologie di business. Pensiamo a Google se non ci fosse stata Stanford. Potremmo non averlo mai visto emergere, perchè troppo scomodo per la percezione dei siti e dei relativi diritti di proprietà. Un pensiero legato alla proprietà privata piuttosto che ad un diritto vincolato al suo accesso.

Quindi all’inizio, e per molti ancora oggi, il materiale messo online era e doveva rispondere ai medesimi confini di un negozio fisico, con le medesime tutele di copyright e di accesso di proprietà privata. Peccato che online i paletti del mondo fisico non ci siano, ed occorre pensare attentamente a cosa vale la pena inserire, e al valore degli eventuali paletti rispetto alla loro mancanza. Occorre pensare ai vantaggi e agli svantaggi di ogni singola azione, a mente aperta.

A me la cosa colpisce parecchio. In un mondo che sta andando verso un ecosistema di servizi sempre più interdipendenti tra loro, l’operazione della EMI fa davvero pensare. L’innovazione, quella vera, è molte volte distruttiva: possiamo farne a meno per mantenere lo status quo?

Sul mio lifestreaming, per protesta e per aiutare a far emergere la questione, lascio il link a Swurl: un servizio eccellente, morto prematuramente.
La mia solidarietà ai suoi sviluppatori.