Avviso: questo è un post lunghetto, e parla di quello che sta accadendo a cavallo dell’economia della conoscenza e della voglia della Rete di raccontarsi nel cambiamento in atto. Della crisi di modelli mentali di approccio al lavoro, e di eretici digitali. Di manifesti e di voglia di trasparenza, di etica, di nuovi racconti più vicini alla gente, ben oltre le tradizionali ideologie di massa e per la massa. In cui non so davvero chi si riconosca più. Un primo tentativo di fornire un quadro d’insieme di elementi successi negli ultimi mesi. Nessuna fretta quindi nel leggerlo. E magari un po’ caotico: spunti sui punti oscuri ben accetti, ovviamente.
Questi i punti chiave toccati:

  • Manifesti ed Eretici digitali: un confronto costruttivo
  • Manifesti, manifesti e manifesti: ne nascono tanti, o sbaglio?
  • Spunti dall’offline di contaminazione digitale
  • Perchè serve stare attenti a quello che accade tra economia e conoscenza
  • Segnali di scontri: le eresie si ampliano forse
  • Spunti sulle tecnologie a supporto dei manifesti, per scombinare un po’ di carte nel mazzo

Manifesti ed Eretici digitali: un confronto costruttivo

Partiamo.
Era febbraio quando Luca De biase ha scritto questo bellissimo post sull’economia della disattenzione:
-> Ecologia della disattenzione

Se vogliamo davvero capirci qualcosa, anche di cosa sta accedendo a livello mediatico in questo 2009 in Italia, ne consiglio la lettura. E’ altrettanto lungo, ma fondamentale, e ne prendo in particolare un passaggio:

Nell’economia della conoscenza, il valore si concentra nello sfuggente territorio delle idee: informazione, immagine, senso… Si compra, si produce, si desidera il significato che si legge nei prodotti molto più di quanto non si compri, non si produca e non si desideri la materia della quale quei prodotti sono fatti.

Nella scienza economica, questa trasformazione ridefinisce il perimetro di indagine: si ricuce lo strappo positivista, per esempio suggerito dall’opera di Lionel Robbins, che aveva imposto di escludere dalla ricerca il tema della compatibilità e della comprensione dei fini, obbligando gli studiosi a concentrarsi solo sulla questione della scelta e della moltiplicazione infinita dei mezzi. Questa nuova consapevolezza abbatte le vecchie barriere che separavano l’economia dalle altre scienze sociali, dalla psicologia all’antropologia, dalla storia alla geografia. Perché se il valore è nel senso generato da chi produce e riconosciuto da chi acquista, allora, teoricamente, il baricento della questione economica si sposta dal mondo del capitale a quello della persona. E alla dinamica della competizione si affianca, profondamente, la dinamica della collaborazione.

Le conseguenze sono concettualmente rilevantissime. La smaterializzazione dell’economia post-industriale e l’avvento dell’economia della conoscenza implicano una grande trasformazione nelle forme della proprietà, dell’organizzazione produttiva, del rapporto tra pubblico e privato. Cambiano il concetto di scarsità, che non si applica più soltanto ai mezzi, ma anche alle molteplici dimensioni della relazione umana: fiducia, attenzione, comprensione. Il prezzo si determina tanto nella conversazione quanto nella contrattazione. L’elaborazione di una visione diviene la questione strategica dell’azienda, il laboratorio di ricerca - con l’incertezza dei suoi risultati - entra a far parte integrante del processo produttivo, la tecnologia cessa di essere il limite del possibile per trasformarsi nel suo costante superamento. Il design diventa progettazione e racconto, i media diventano distribuzione e conversazione, gli autori diventano generatori di valore e di motivi di connessione tra le persone. I fruitori e i produttori tendono in molti casi a coincidere. E la complessità prende il posto della linearità: perché nella smaterializzazione della produzione, la cultura diventa il luogo dell’economia, molto più di quanto non lo sia la fabbrica, il mercato o l’ufficio.
[…]
La strategia tradizionale dell’economia industriale prevedeva che un messaggio dovesse essere colto dal target cui era rivolto. Per ottenere questo risultato, si cercava di ottenere l’attenzione delle persone e le si «colpiva» con il messaggio che avrebbe dovuto indurre a comportamenti coerenti con gli obiettivi dei produttori del messaggio stesso. Oggi, appare evidente, che molti comportamenti dei consumatori possono essere invece indirizzati anche con una strategia opposta. Come insegnano le ricerche di Daniel Kahneman e altri, i comportamenti sono molto più spesso dettati dall’intuizione che dal ragionamento. E poiché il ragionamento richiede molta più attenzione dell’intuizione, se ne può trarre la conseguenza che la disattenzione può essere una condizione ideale per favorire certi comportamenti consumisti. Al limite si può supporre che proprio facendo leva sull’information overload, e anzi alimentando la sovrabbondanza di messaggi con ogni genere di mezzo, si può ottenere un risultato piuttosto efficace dal punto di vista della comunicazione. Quando si agisce per intuizione, in effetti, si sceglie in base alla prima idea che viene in mente. Se un’idea, un messaggio, viene ripetuto in modo molto insistente attraverso molti mezzi e in modo coordinato, tende a diventare, per molte persone, appunto, «la prima idea che viene in mente». E ad essa si tende a ricorrere tanto più spesso quanto più si vive in una condizione generale di information overload e dunque di disattenzione, che sfavorisce il ragionamento e favorisce l’intuizione.

La sensazione di incertezza generale che deriva dalla sovrabbondanza di messaggi, intesa sia come moltiplicazione quantitativa delle informazioni sia come mancanza di un racconto sintetico che aiuti a interpretarne l’insieme, che può portare all’inazione, dunque a comportamenti depressi e orientati a ridurre i consumi di fronte all’ansia della scelta, può essere dunque calmierata da una strategia fondata sulla ripetizione di messaggi semplici capaci di installarsi nelle menti e indurre a comportamenti stereotipati, basati sull’intuizione che emerge nella disattenzione. Il rischio di questa strategia è quello di lanciare un’escalation di messaggi ripetuti che a loro volta moltiplicano gli effetti dell’information overload. Si può parlare a questo punto di inquinamento dell’ecosistema dell’informazione.

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Nell’ultimo post avevo accennato a qualche azione diretta per facilitare l’emergere di certe criticità tutte italiane, ed avevo parlato dell’ottima iniziativa di Apogeo nel facilitare la sintesi sugli andamenti legislativi in Italia che vanno a toccare in qualche modo la Rete. L’hanno chiamata “Fili rossi”.

-> A che punto sono le “leggi” di internet?

In realtà, avevo detto:

Chiudo quindi con una provocazione:
e se al posto di fare silenzio il 14 luglio, come qualcuno propone, non lavorassimo tutti assieme per far emergere in un quadro completo e comprensibile, quello che risulta così palese solo per pochi?
Magari a partire dal quadro offerto da Apogeo con i Fili rossi, un ottimo punto di partenza per offrire maggiore chiarezza su temi tanto importanti.

Cosa significava? Significava aiutare l’innovazione tecnologica su un tema tanto importante come la divulgazione sullo stato delle normative italiane, per aumentarne la diffusione, il lavoro collettivo di aggregazione e di costruzione delle informazioni. Cose poco chiare fino a che non verranno mostrate in pratica, ne sono consapevole: per cui ho iniziato a lavorarci, anche se il tempo è stato tiranno, uff.
Prendetela come primo step di una riflessione estiva ben più ampia, anche in preparazione della ripresa della discussione sul diritto di rettifica proprio a settembre… e come uno dei primi casi studio su RDFa e sui vantaggi che puo’ portare alla gente comune farlo usare nei CMS che hanno a disposizione gli sviluppatori Web.

Ho fatto quindi una breve presentazione per mostrare il flusso di pensieri in essere, piuttosto che raccontarlo. Il primo passo è quello di capire con cosa abbiamo a che fare, e di cosa si sta parlando, e questo è lo scopo di questa prima puntata.

[I fili rossi di Apogeonline in versione semantica, grazie a RDFa - prima parte](http://www.slideshare.net/dagoneye/i-fili-rossi-di-apogeonline-in-versione-semantica-grazie-a-rdfa-prima-parte "I fili rossi di Apogeonline in versione semantica, grazie a RDFa - prima parte")
View more [documents](http://www.slideshare.net/) from [Matteo Brunati](http://www.slideshare.net/dagoneye).

Si parla quindi di risorse, proprio come nel tutorial RDFa di ItalianWebDesign.it:

Definizione di “Risorsa” : una risorsa, per noi, può essere qualunque oggetto, persona o entità materiale o immateriale (anche qualcosa di non precisata definizione). Una risorsa può essere una persona, un gruppo di persone, un documento, una pagina web, una poesia, un libro, una e­mail, ecc…

Due tutorial introduttivi, più tecnici, per anticipare un po’ di cose, sul già citato sito ItalianWebDesign.it:

La seconda parte verrà pubblicata a fine agosto, dopo un po’ di ferie, che occorre rigenerarsi in questi tempi caotici di cambiamento… La consapevolezza dei limiti di quello che usiamo è il primo passo per migliorare la situazione.

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Di questa cosa sono rimasto assai colpito, ha implicazioni notevoli.
-> EMI’s Outrageous Lawsuit Against Developer Takes Its Toll
-> Congrats EMI! You’ve Killed Some Innovation
-> EMI lawsuit claims first casualty

The lawsuit targeted a developer of a service, Swurl, who just used an API for another service, Seeqpod, that was being sued. It’s quite troublesome to claim that one company is liable for simply using an API of another company who, itself, is probably not doing anything infringing

In breve: il servizio di lifestreaming Swurl è stato chiuso dai due creatori, perchè è stato denunciato dalla EMI per un semplice motivo: Swurl usava le API di un motore di ricerca innovativo centrato sui feed inerenti alla musica ( ma non solo ) di nome Seeqpod. Uso delle API non previsto da parte di Seeqpod, e denuncia di uno dei servizi che ne usavano a sua volta le API.
Da una segnalazione precedente sulla causa intestata da EMI e sul coinvolgimento dello sviluppatore dietro a Swurl, prendo la fine:

If EMI does win, it would set a precedent that the usage of an API puts the developer at risk of a lawsuit should the service they’re tapping into ever get sued. Such a decision would have huge ramifications for developers, who could become weary of using any service that could conceivably be considered illegal. It would stifle innovation. And frankly, it’s ridiculous.

Vediamo di sbrogliare la matassa.
Swurl era un servizio di lifestreaming, rilanciato a suo tempo anche da ReadWriteWeb, che stavo usando da luglio sia per me, sia come ulteriore canale di lifestreaming per Metafora AD Network. Era un’idea assai simile a Friendfeed, ma con importanti differenze. Non è importante dilungarsi sulle sue caratteristiche, è importante far emergere il contesto:

The lawsuit targeted a developer of a service, Swurl, who just used an API for another service, Seeqpod, that was being sued. It’s quite troublesome to claim that one company is liable for simply using an API of another company who, itself, is probably not doing anything infringing.

La catena è notevole: EMI ha portato in tribunale il servizio Seeqpod, e nel frattempo ha preso di mira anche uno dei servizi che ne usavano le API, ben prima di vedere se la causa contro Seeqpod si chiuda a suo favore, tra l’altro. Swurl, dal canto suo, essendo ancora un servizio amatoriale, ha chiuso i battenti, ovviamente.
Ci sono due cose che fanno riflettere, assolutamente non scontate: dove si sposta e si incentiva oggi l’innovazione, se mette in crisi modelli consolidati oggi forti, e un domani magari assai meno, e una questione di catena di colpevolezza assolutamente non scontata. Ben prima che sia provata la presenza di un crimine, si colpisce tutta la filiera. Bullismo legale è stato definito dalle fonti citate.
E non si colpisce il servizio in quanto tale, ma uno dei fondatori, personalmente.

Rather than just suing the companies, it’s also suing investors and the founders personally. This isn’t just highly unusual, it’s a clear attempt to pressure these companies into settling, as no matter how legitimate your stance is, it’s quite a scary thing to be sued personally, and potentially have personal assets at risk. Suing the founders personally is legal bullying. It’s a clear abuse of the legal system to try to force a settlement, rather than an actual attempt to raise a legal issue.

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Matteo Brunati

Attivista Open Data prima, studioso di Civic Hacking e dell’importanza del ruolo delle comunità in seguito, vengo dalle scienze dell’informazione, dove ho scoperto il Software libero e l’Open Source, il Semantic Web e la filosofia che guida lo sviluppo degli standard del World Wide Web e ne sono rimasto affascinato.
Il lavoro (dal 2018 in poi) mi ha portato ad occuparmi di Legal Tech, di Cyber Security e di Compliance, ambiti fortemente connessi l’uno all’altro e decisamente sfidanti.


Compliance Specialist SpazioDati
Appassionato #CivicHackingIT


Trento