In sintesi:_ Una riflessione sul perchè molte volte non ci comprendiamo e sulle relazioni tra il nostro modo di pensare e la dimensione del Web. Che è stato improntato e costruito sul pensiero associativo del nostro cervello. Pensiamoci: facciamo prima ad associare due cose tra di loro o a dar loro un ordine ed una gerarchia? Il Web si basa sulla nostra capacità di associazione, sul nostro potere di collegare cose assai diverse tra loro ma pur legate da una minima caratteristica comune. E sulla capacità di creare legami condivisi a costo zero, e senza un permesso preventivo da nessuno. Allo stesso modo serve un minimo di conoscenza condivisa per comunicare e comprendersi. Sia di sintassi ( io parlo italiano, tu cinese e quindi? ), che di concetti ( io sto dicendo neve, ma tu sei all’equatore. mi capisci? ). E forse da tutto questo emerge una chiave di lettura di uno dei vantaggi più pratici che porta con sè il Semantic Web. Quello di dare un identificativo sul quale possiamo confrontarci anche per i concetti di cui parliamo, dare loro un http:// che possiamo poi elaborare e gestire come vogliamo. Ad un livello più in dettaglio del concetto di pagina._

Ci capiamo davvero di solito quando comunichiamo a voce tra di noi?

Pensiamo a quando si parla con i propri colleghi di lavoro, o si parla con gli amici, o con qualsiasi altra persona nella nostra vita di tutti i giorni. Quante volte capita che si fatica a farsi comprendere, a farsi capire, a comunicare il nostro punto di vista e la nostra impressione, e che le parole non bastino a trasmettere quello che vogliamo dire? Soprattutto quando si cerca di comunicare qualcosa legato ad una dimensione specialistica del nostro sapere ad una persona appartenente o ad un altro settore, o che non c’entra assolutamente nulla magari con quel particolare tema. Una bella sfida riuscire a farsi capire.

Allora è utile chiedersi: ma come facciamo a capirci di solito, o meglio: quand’è che capisco davvero l’altro in una situazione simile?

Punto uno: per capirsi serve un linguaggio comune, inteso come sintassi. Se io parlo aramaico e la persona di fronte a me non lo parla, avremo delle difficoltà a comprenderci sul piano della sintassi. Di solito si scende di livello e si raggiunge un livello di sintassi base, il linguaggio dei gesti e della rappresentazione per via di disegni e cose simili. E’ chiaro che a questo livello la possibilità di comunicare concetti complessi diventa assai remota, per non dire quasi impossibile. Se invece parliamo entrambi l’aramaico, e quindi il livello di sintassi comune esiste, interviene un nuovo livello di potenziale incomprensione, assai più insidioso. La vita non è affatto semplice, a quanto pare.

Interviene il livello della conoscenza condivisa. Punto due. Per farmi capire devo usare una serie di idee e di concetti, che siano compresi e conosciuti anche dalle altre persone. Ove mancassero, serve condividerli prima per poter poi creare un dialogo tra le parti.
Un tipico esempio per capire: come viene scritto il vocabolario? Come posso riuscire a capire un universo così esteso di concetti a partire da un linguaggio condiviso? Usando proprio termini e concetti il più possibile condivisi da tutti. E se non lo sono, intervengono l’esperienza diretta ed il vissuto a colmare il gap.

Se manca questo terreno condiviso non stiamo comunicando in maniera paritaria. Una parte della nostra discussione sta semplicemente trasferendo una nostra esperienza vissuta, sia di concetti, che di loro interpretazione o semplice esperienza diretta. Ma cosa sono in fondo questi concetti condivisi? **I concetti condivisi sono costruiti dalle nostre competenze, dalle nostre esperienze e dal nostro vissuto, tutti elementi che in genere sono diversi da persona a persona. **
E a volte è assai facile dimenticare quante differenze ci sono a questo livello da persona a persona. Io per primo in effetti.

Come fa tutto questo ad avere a che fare con il Web?
Bè, direi che c’entra parecchio. **Perchè per trovare qualcosa nel mare magnum della Rete abbiamo bisogno di farlo comprendere, almeno un po’, anche alle macchine, ed ai motori di ricerca. **
E nel farlo, si cerca anche di migliorare la comunicazione e l’informazione che mettiamo nel luogo Web anche alle persone. E il modo per farlo è sempre riconducibile a due livelli di partenza: sintassi e semantica.

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AGGIORNAMENTO: sembra che il decreto sulle intercettazioni sarà discusso in settembre, mi accorgo solo ora dell’ottimo post di Sergio Maistrello sugli stessi temi, che condivido. E comunque c’è gente che mette le mani avanti, incredibile!
La mia spinta arriverà nei prossimi giorni, in forma costruttiva…

Alcuni punti di vista diversi, che vorrei condividere, in vista della proposta del silenzio stampa del 14 luglio 2009 come forma di protesta contro il decreto legge sulle intercettazioni, ma non solo:

  • il decreto legge sulle intercettazioni: una follia per quanto sia ambiguo e che mette in crisi la libertà di espressione in Rete e sui media in senso lato. Se si pensa che abbiamo dei dilemmi simili sulle creazione di contenuti non strutturati in Rete in Italia, come faremo ad accettare la condivisione e la pubblicazione di dati strutturati grazie al Semantic Web e al Linked Data? Iniziare dalla petizione di Marco Camisani Calzolari sarebbe già qualcosa… Perchè, se questi sono in effetti gli inizi, non siamo messi bene.

  • altra legge: quella sul diritto all’oblio, che puo’ sembrare di no, ma è assolutamente un tema complesso e rischioso, per dirla alla Quintarelli. E il video di Travaglio in merito pone questioni notevoli di riflessione.

    Le leggi rappresentano il design delle opportunità a cui un Popolo puo’ accedere, per cui non sono aspetti di poco conto. L’opportunità di trasparenza e di memoria a costo zero o quasi data dalla Rete è una cosa che vogliamo buttare così, oppure è meglio rifletterci? Aiuterebbe la Società nel suo complesso? E la Storia?

Ci sono delle evoluzioni tecnologiche, e delle direzioni che stanno prendendo queste ultime, e si ritiene che chi legifera conosca o che si faccia raccontare lo stato di tali evoluzioni. Invece si interpreta tutto con un approccio di difesa del vecchio potere contro la novità che avanza, naturalmente e globalmente.Un bel caos, insomma.
Ma solo se si pensa che l’oggi rimanga tale e quale.

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Se io cerco una stringa di testo dentro google legata ad una persona che abbia avuto guai giudiziari, se questa è assai citata emerge certamente una notizia scomoda e datata magari. Il PageRank dà priorità agli elementi che si trovano più citati da fonti diverse. Il fatto che sia magari una notizia legata ad un processo o simili non deve spaventare: rimane un fatto storico e comunque un percorso del passato di una persona.Uno dei dilemmi presenti sta nella mancanza di una data esplicitata magari, e non nel fatto che la Rete tenga memoria di un fatto. E' responsabilità di chi pubblica le notizie di farlo nel modo corretto, anche tecnologico:  **se il motore di ricerca ponesse in chiaro un modo di navigare nelle notizie anche temporale, tutto sarebbe più esplicativo, no?** Un po' come quando ci si lamenta che il motore di ricerca indicizza materiale nascosto: non è colpa del motore ma di chi non ha seguito le regole per dire al motore di non indicizzare tale contenuto. E poi molto dipende dalla comprensione del singolo utente che legge tale notizia e della sua poca dimestichezza con le logiche della Rete: aggiungere un commento alla notizia magari, che rimandi ad un fatto più recente relativo a quel procedimento correggerebbe l'informazione presente, ad esempio.

Ed ormai ci sono modalità emergenti per rendere con sempre più chiarezza le dimensioni delle informazioni a cui noi siamo tanto abituati:

*   spazio
*   tempo
*   contesto o argomento, relazioni

Non servono particolari interfacce da imparare quando si hanno modi di scomporre quello che vediamo secondo questi assi fondamentali. Si pensi alla timeline di recente introduzione da parte di Google, e alle informazioni aggiuntive sulle ricerche, per ora presenti solo nel mercato USA.
-> Esempio su Michael Jackson.
E non solo: se Google puo’ fare questo, anche il singolo lo puo’ fare con quello che pubblica: il W3C con gli standard a supporto del Semantic Web promuove proprio questo tipo di progresso e di libertà individuale. Si pensi alla timeline del progetto SIMILE, già conosciuta e disponibile dal dicembre 2006 per gli sviluppatori! Ma serve anche formazione costante e continua sulle potenzialità e sul percorso, non tecnico, ma sociale di Internet e delle sue evoluzioni. Interpretazione delle fonti, autorevolezza, triangolazione delle fonti medesime e via dicendo…
Cose che oggi necessitano ancora di molto lavoro manuale, ma che domani potrebbero essere fatte automaticamente grazie alle evoluzioni possibili con il Semantic Web. Ma occorre comunque essere consapevoli delle dinamiche in gioco.
Questa è la soluzione di base, oltre che quella di capire che la Rete non è anarchia, e nemmeno fuori controllo.
Semplicemente, ha delle regole insite nel suo DNA che sono profondamente diverse da quello che un singolo Stato puo’ pensare di controllare. Il controllo in Rete ha bisogno di un attento equilibrio, in effetti, per non far perdere all’Italia importanti opportunità. Ci vuole maggiore comunicazione, maggiore formazione su quello che è la Rete. Ed un equilibrio informativo di questo tipo manca quasi del tutto a livello dei mass media, direi. Forse Venezia è una delle poche frontiere che stanno sperimentando in tal senso…

  • l’amico Fabio Giglietto parlando del ruolo di Internet nella politica cita due progetti orientati ad avvicinare lo Stato e la Rete e la sua maggiore capacità di trasparenza: > Nelle iniziative di rete trasparenza e apertura sono essenziali. Guardate il sito Recovery.gov ( oggi non è più esistente, ed ha cambiato natura e proprietario - NdA ) o il nuovo progetto Data.gov varato di recente dal governo americano nell’ambito del piano Open Government. Il primo sito fa il rendiconto di quanto e come sia stato speso il denaro del piano di stimolo dell’economia varato dal governo americano per fronteggiare la crisi. Il secondo rende disponibile in formato standard e facilmente riutilizzabile i dati di molte agenzie federali. Con questi degni obiettivi anche negli USA si sta iniziando un percorso per avvicinare sempre più il dato in forma aperta alla comunità della Rete, e la comunità stessa cerca di consigliare sul come farlo sempre più compatibilmente con gli sforzi del Semantic Web e del Linked Data:
    -> Use semantic technology to link data.gov and recovery.gov resources idea
    In questa presentazione alcuni ottimi spunti su tale linea:
  • sulla linea di quello che accade negli USA, anche in UK si stanno predisponendo, anche con l’aiuto di Sir Tim Berners Lee, l’inventore del World Wide Web, le medesime misure di trasparenza ed accesso all’informazione governativa facilitata dalle tecnologie legate al Semantic Web e al Linked Data:
    -> Interesting semantic web stuff

    TimBL is working with the UK Cabinet Office (as an advisor) to make our information more open and accessible on the web [cabinetoffice.gov.uk]
    The blog states that he’s working on:

    *   overseeing the creation of a single online point of access and work with departments to make this part of their routine operations.
    *   helping to select and implement common standards for the release of public data
    *   developing Crown Copyright and ‘Crown Commons’ licenses and extending these to the wider public sector
    *   driving the use of the internet to improve consultation processes.
    *   working with the Government to engage with the leading experts internationally working on public data and standards
    

Visioni contrapposte e tendenze che ci stanno facendo perdere importanti opportunità.
Insomma, in Italia oltre ad avere problemi tecnologici, i dilemmi culturali tendono ad aumentare, e non di poco. E sono questi dilemmi che poi vanno a bloccare le iniziative di business basate sull’innovazione tecnologica, quella vera pero’. Quella che non deve necessariamente costare cifre faraoniche, ma che lavora con tempi e modi diversi, che sono quelli del merito e delle persone. Di quelle giuste, di quelle che possono proporre idee distruttive. E che quindi risultano scomode.
Come trovare un collante tra quello che è già possibile fare, e gli scenari di applicazione, e quello che invece è nella testa di chi legifera con modelli vetusti e anacronistici? Anche all’estero in questi tempi di crisi, non è cosa comunque semplice…

Come fare ad introdurre il concetto di fatto, o di diritto di cronaca, in un Paese del genere? E non parlo tanto dei contenuti e dei fatti che in vista del G8 la stampa internazionale ci ha buttato contro, quanto della copertura e della profondità delle contro risposte ufficiali visibili sui mass media italiani. Prima di capire se le cose siano vere o meno, si dovrebbe controbattere fatto contro fatto. Ed invece si pensa a denigrare costantemente chi rema contro…
E se la tecnologia permettesse un primo passo di reale neutralità della cronaca? I numeri, dotati di fonti e di date chiare, non possono mentire. E il movimento che sottende il Linked Data permetterà una cosa del genere. Permette già oggi maggiore trasparenza e maggiore possibilità di accesso alle informazioni base, prima della mediazione di un media qualsiasi. Poi le opinioni e i documenti si creano a partire da dati realmente trasparenti, quando vengono condivisi, ovviamente. Ma uno Stato non dovrebbe avere l’obbligo morale di farlo? Mi sovviene una frase di Thomas Jefferson:

I popoli non dovrebbero aver paura dei propri governi: sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli.

Se l’importante è che non se ne parli allora è una lotta culturale, una lotta anche di modelli di sviluppo che si stanno opponendo, integrandosi non certo senza atriti. Una lotta di classe per qualcuno, non so, non ho risposte certe. Certo è che per difendere vecchi modelli, e vecchi poteri, si sta facendo davvero di tutto in questi ultimi mesi in Italia.

Se gli scritti e i documenti possono essere manipolati, o deviati, o il punto di vista dell’autore puo’ influire sul racconto che sta facendo, se abbiamo i dati, nudi e crudi, da aggregare in forme comuni e senza dover fare grossi investimenti se non quelli iniziali, cosa cambia? Molto, moltissimo.

Chiudo quindi con una provocazione:
e se al posto di fare silenzio il 14 luglio, come qualcuno propone, non lavorassimo tutti assieme per far emergere in un quadro completo e comprensibile, quello che risulta così palese solo per pochi?
Magari a partire dal quadro offerto da Apogeo con i Fili rossi, un ottimo punto di partenza per offrire maggiore chiarezza su temi tanto importanti.

Visto che Federico ha lanciato proprio ieri il blog di To Report, potrebbe essere un’idea quella di non fare silenzio, ma di aiutare l’emergere delle cose che con i vecchi media, per troppi motivi, non riescono ad arrivare fin dove devono arrivare. Visto che il progetto sembra davvero interessante, avrei una domanda: in che modo To Report potrebbe rispondere a questo tipo di bisogni?
E soprattutto si puo’ provare ad introdurre un nuovo tassello: dai documenti ai dati, tagliando un intermediario a volte assai scomodo.. Anzi, spostandolo un po’ su lungo la filiera dell’informazione, semplicemente. Visioni assai contrapposte quindi, che mettono non pochi paletti culturali allo sviluppo del futuro del Web in Italia.

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[ ripresa e proseguo piu’ lineare di questo post ]

Da marzo 2007 ho fatto una discesa molto piu’ pesante nel mondo della Rete, anche seguendo un progetto che a breve uscira’ in forma organica e piu’ matura rispetto agli scorsi mesi, ma dove nel frattempo ho proseguito lo studio e qc prima applicazione del tema portante di questo blog, il Semantic Web.

Il flusso informativo e’ assolutamente aumentato, e diversificato rispetto agli utilizzi della Rete antecedenti, e ho iniziato un confronto maggiore con l’esterno, tramite i barcamp e non solo…
E devo dire che quegli eventi sono per me una gioia, proprio per la compagnia creatasi e per la possibilita’ di ritrovarsi e di lavorare a progetti comuni e ad idee comuni, e alla loro potenziale intersezione e maturazione nel tempo.
Imperdibile, e senza prezzo davvero.

E’ anche vero che tutto questo ha un costo, e crea un bisogno ed una necessita’: migliorare la gestione di questo incredibile flusso che ci attornia e ci sommerge, se non stiamo attenti a come gestirlo.

E nel medesimo istante, poter iniziare a capire le potenzialita’ di un salto tecnologico in atto, che da quello che sento e quello che leggo, vedra’ nel 2008 un predominante arrivo anche alla massa.
Che ci creda a queste tecnologie o meno, inizieranno a dimostrare il loro valore finalmente.

Ovviamente intendo tutto cio’ che ruota attorno al Semantic Web.

Adesso che persone chiave come Benjamin Novack stanno rilasciando tool basati sul LAMP, e quindi di facile utilizzo e di massima distribuzione, e che iniziano a delinearsi gli standard definitivi per completare il giro iniziato nel 2003 con la versione standard di RDF, e con la definitiva uscita di SPARQL ( l’analogo di SQL per i database relazionali, rispetto al Web of Data per capirci ).

Che persone come Enrico facciano dei post riassuntivi chiari e limpidi come questo:
-> Web Semantico: semanticizzare un WordPress blog (Parte 1)

Che persone come Alberto D’Ottavi chiedano e vedano l’esigenza di molto piu’ di un aggregatore, [ al quale sto in effetti lavorando in RDF e compagnia bella ] , vuol dire solo una cosa: i tempi sono maturi ormai.

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Matteo Brunati

Attivista Open Data prima, studioso di Civic Hacking e dell’importanza del ruolo delle comunità in seguito, vengo dalle scienze dell’informazione, dove ho scoperto il Software libero e l’Open Source, il Semantic Web e la filosofia che guida lo sviluppo degli standard del World Wide Web e ne sono rimasto affascinato.
Il lavoro (dal 2018 in poi) mi ha portato ad occuparmi di Legal Tech, di Cyber Security e di Compliance, ambiti fortemente connessi l’uno all’altro e decisamente sfidanti.


Compliance Specialist SpazioDati
Appassionato #CivicHackingIT


Trento